Brevi riflessioni: Kafka

Una volta, un amico spagnolo conosciuto in Lettonia mi disse: "Kafka is a shit". Lì per lì non risposi, ma, riflettendo, capii che aveva ragione a definirlo tale, benché egli diede a quella frase un'accezione negativa; a lui Kafka non piaceva proprio. Al contrario, pur mantenendo la definizione, io diedi un'accezione diversa. Kafka è una "shit", nel senso che lui riesce ad afferrare il lettore non per mano, ma per la nuca, sbattendolo con forza e violenza a terra, mostrando quanto questo sia, effettivamente, un mondo lordato. Kafka voleva mostrare questa lordura, ma, diversamente da Dostoevskij, non mostra la realtà; al contrario, la ammanta di un alone metaforico. Joseph K., ne "Il processo", vive un incubo immotivato, illogico ed impossibile. Nessuno mai vivrà una situazione simile, nemmeno nei sogni. Certo, anche Stalin puniva senza motivo, ma la sua illogicità era solo un'apparenza.
In Kafka, il mondo è (da) sempre un processo illogico che accusa un onesto cittadino senza colpe. Esattamente come Kafka viveva la sua esistenza, colpevole senza colpe. Il mondo è pieno di tribunali ed avvocati che accusano l'innocente con una tale convinzione che l'accusato stesso non solo si sente un vero e proprio reo, ma si colpevolizza in maniera così radicale da divenire disgustoso ai propri stessi occhi. Ecco perché Gregor Samsa si è trasformato in uno scarafaggio. Forse per Kafka è stato meglio morire in giovane età. Vivere una vita ingiusta significa vivere una vita patibolare. E questo non fa altro che gettare una luce positiva sulla morte, da sempre reputata, forse a torto, la negatività più negativa di ogni negatività.